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AVVOCATO MATRIMONIALISTA
L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
E' possibile ricevere assistenza legale SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE - grazie alla recentissima introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - ed IN TEMPI BREVISSIMI - grazie alle recentissime riforme legislative apportate in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 - G.U. n. 212 del 12.09.2014 (Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).
E' possibile ricevere assistenza legale SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE - grazie alla recentissima introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - ed IN TEMPI BREVISSIMI - grazie alle recentissime riforme legislative apportate in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 - G.U. n. 212 del 12.09.2014 (Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).
Informazioni personali
- Avv. VANIA SCIARRA
- Lo STUDIO LEGALE "AVV. VANIA SCIARRA" si trova in Via Fedele Romani n. 15 (PE) - I recapiti telefonici sono: Tel. Cell. 339.7129029. A ROMA Via Lucantonio Cracas n. 7 e a PIACENZA Viale Malta n. 12. Indirizzo di posta elettronica: avv.vaniasciarra@libero.it
venerdì 27 ottobre 2017
mercoledì 5 aprile 2017
Separazione e divorzio: coniuge può accedere ai documenti fiscali del marito
Separazione e divorzio:
coniuge può accedere ai documenti fiscali del marito
TAR, Puglia-Bari, sez. III, sentenza 31/01/2016 n° 94
Il coniuge è titolare di un diritto soggettivo di
accesso alla documentazione detenuta dall’Agenzia delle Entrate a tutela degli
interessi economici e della serenità del nucleo familiare, soprattutto in
presenza di figli minori, da utilizzare nel corso di un giudizio di separazione
personale.
In tali casi, il diritto alla riservatezza in materia
di accesso a tali documenti “sensibili” del coniuge è da considerarsi
recessivo.
Il Tar Puglia – sez. III, sentenza 31 gennaio 2017 n.
94 – ha ordinato all’Agenzia delle Entrate di consentire l’accesso agli atti,
ai sensi della Legge n. 241/1990, costituiti dalla
documentazione fiscale, patrimoniale e reddituale relativa al marito, per
consentirne l’uso alla moglie nel procedimento pendente di separazione
personale.
La donna intendeva dimostrare che il marito,
sottraendosi all’onere di contribuire alle spese della famiglia, si era creato
un patrimonio personale, formato da rilevanti risparmi, che non poteva
considerarsi di sua esclusiva proprietà.
L’Agenzia le aveva negato l’accesso sostenendo che
l’amministrazione non deteneva direttamente i documenti richiesti, e comunque
gli stessi avrebbero richiesto elaborazione di dati.
Il TAR Puglia ha invece ritenuto legittima la domanda.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi,
previsto dal Capo V della legge n. 241 (artt. dal 22 al 28), ha
finalità d’interesse generale, al fine di assicurare la trasparenza
dell'attività amministrativa, ma ha anche lo scopo di tutelare il singolo.
Si parla, infatti, di diritti riconosciuti per
salvaguardare posizioni giuridicamente rilevanti, quali diritti soggettivi e
interessi legittimi.
La Legge 11 febbraio 2005, n. 15,
innovando tale legge, ha dettato una disciplina più organica e completa in
materia di accesso ai documenti.
L’art. 22, come novellato dalla Legge n. 15/2005 alla lett. a) del
comma 1, a differenza della normativa precedente, definisce il diritto di
accesso, inteso come il diritto degli interessati di prendere visione e di
estrarre copia dei documenti amministrativi.
L’oggetto del diritto di accesso è costituito dai
documenti amministrativi, definiti dalla lett. d) dell’art. 22, come ogni
rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque
altra specie del contenuto di atti relativi ad un determinato procedimento
detenuti dalla Pubblica Amministrazione.
L’interesse deve essere diretto, concreto, attuale,
corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso.
Secondo il tribunale amministrativo, gli atti
richiesti rientrano nell’ampia nozione di documento amministrativo di cui
all’art. 22, trattandosi di atti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria
per l’esercizio delle funzioni istituzionali, benché non formati da questa.
Non è possibile sostenere che si tratti di atti
interni privi di ogni rilevanza giuridica, o di semplici informazioni, che
hanno bisogno di attività di elaborazione e/o estrapolazione, non esigibile
dall’Amministrazione.
La sentenza del tribunale pugliese, parla di
giurisprudenza consolidata sul punto e richiama la recentissima sentenza del
TAR Veneto, in cui si riconosce “il diritto del coniuge, anche in pendenza
del giudizio di separazione o divorzio, di accedere alla documentazione
fiscale, reddituale e patrimoniale dell’altro coniuge, al fine di difendere il
proprio interesse giuridico, attuale e concreto, la cui necessità di tutela è
reale ed effettiva e non semplicemente ipotizzata” (T.A.R. Veneto, sez. I
sent. n. 61 del 19.01.2017).
Gli interessi economici e la serenità del nucleo
familiare, soprattutto in presenza di figli minori delle parti in causa,
richiedono una tutela prevalente o quantomeno un bilanciamento con il diritto
alla riservatezza previsto dalla normativa in materia di accesso ai documenti
“sensibili” del coniuge.
L’istanza di accesso della donna è stata accolta, per
essere la moglie titolare di un interesse qualificato, con l’unica limitazione
derivante dal D.M. n. 603 del 29.10.1996 art. 5 lettera a).
Il Decreto disciplina le categorie di documenti
sottratti al diritto di accesso dell’art. 24 comma 4, della legge n. 241/1990.
La norma
stabilisce che, anche in caso di documenti sottratti all’accesso, è consentita
“la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza
sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti
propri di coloro che ne fanno motivata richiesta”.
lunedì 3 aprile 2017
SEPARAZIONE - DIVORZIO - Il genitore che mantiene da solo il minore si rifà sull’altro anche per l’epoca anteriore alla domanda
SEPARAZIONE - DIVORZIO - Il genitore che mantiene da solo il
minore si rifà sull’altro anche per l’epoca anteriore alla domanda
Sì al ricorso dell’uomo, legittimato «iure proprio» ad
agire per il rimborso della quota di spettanza: l’obbligo di mantenimento sorge
alla nascita del bimbo come gestione di affari ex articolo 2031 Cc
Chi ha provveduto da solo al mantenimento
del figlio può agire iure proprio per ottenere il risarcimento
dall’altro genitore. Lo ha sancito la Cassazione che, con l’ordinanza 6819/17,
pubblicata il 15 marzo scorso dalla sesta sezione civile, ha accolto il ricorso
di un uomo che citava in giudizio la ex per ottenere il rimborso di quanto
versato per il figlio di cui si era preso integralmente cura.
Il giudice di appello rigettava la domanda di regresso
proposta contro il coniuge per il rimborso della quota di spettanza, ma la
negazione del diritto, come ha modo di chiare la Corte suprema, è in contrasto
con i principi di diritto finora espressi dalla giurisprudenza di legittimità.
I giudici della sesta sezione civile, infatti, ricordano che «il coniuge che
abbia integralmente adempiuto l’obbligo di mantenimento dei figli, pure per la
quota facente carico all’altro coniuge, è legittimato ad agire iure
proprio nei confronti di quest’ultimo per il rimborso di detta quota,
anche per il periodo anteriore alla domanda, atteso che l’obbligo di mantenimento
dei figli sorge per effetto della filiazione e che nell’indicato comportamento
del genitore adempiente è ravvisabile un caso di gestione di affari, produttiva
a carico dell’altro genitore degli effetti di cui all’articolo 2031 Cc».
Per quanto riguarda, poi, gli «interessi sul capitale»
del minore, spettano al genitore che esercita la potestà (articolo 324 Cc);
pertanto, va escluso che il figlio, una volta maggiorenne, «sia legittimato ad
agire per il pagamento degli interessi inerenti al periodo antecedente al
raggiungimento della maggiore età». Il Palazzaccio accoglie il ricorso
dell’uomo e cassa con rinvio il decreto impugnato.
martedì 28 marzo 2017
SEPARAZIONE E DIVORZIO: Il giudice non è tenuto ad ascoltare l’infradodicenne
SEPARAZIONE E DIVORZIO: Il giudice non è tenuto ad ascoltare
l’infradodicenne
La prima sezione civile fa il punto sui doveri del
magistrato nell’ambito di giudizi sullo stato di abbandono dei minori
Nell’ambito del giudizio di adozione il magistrato non
è tenuto ad ascoltare l’infradodicenne, in assenza di una specifica istanza di
parte, né a fornire alcuna motivazione. Al contrario, se sono i genitori
biologici a fare richiesta dell’incontro, il giudice dovrà procedere e
giustificare la capacità di discernimento del ragazzino.
Sono queste le conclusioni cui è giunta la Corte di
cassazione che, con la sentenza n. 5676 del 7 marzo 2017, ha respinto il
ricorso di un padre biologico che si opponeva allo stato di abbandono del
figlio usando come grimaldello il mancato ascolto del minore non ancora
dodicenne.
È la vicenda di una coppia di un paesino vicino a
Cagliari. Lei, tossicodipendente e lui assolutamente privo di coscienza
rispetto alle esigenze di crescita del figlio.
In più le rispettive famiglie di origine non avevano
manifestato alcun interesse per il piccolo. Ecco perché era scattato lo stato
di abbandono, oggi reso definitivo dagli Ermellini.
Con una lunga e interessante motivazione la Suprema
corte chiarisce che il giudice ha il potere discrezionale officioso di disporre
l'ascolto del minore anche al fine di verificarne la capacità di discernimento.
Non solo, il giudice deve disporre l'ascolto o motivarne l'omissione se vi sia
un'istanza di parte che indichi "gli argomenti e i temi di
approfondimento" (art. 336 bis, secondo comma cod. civ.) sui quali si
ritiene necessario l'ascolto, scattando in mancanza la sanzione della nullità
processuale. Lo stesso magistrato non ha l'obbligo, senza sollecitazione di
parte, di giustificare la scelta omissiva. E infine, il compimento dei
dodici anni in corso di giudizio e più esattamente nella fase d'appello
impone di procedere all'ascolto del minore non effettuato nel grado precedente
o di motivare espressamente la scelta negativa, anche senza istanza di parere.
lunedì 27 marzo 2017
Separazione: addebito al marito che tradisce, anche se lei lascia la casa
Separazione:
addebito al marito che tradisce, anche se lei lascia la casa
Per la
Cassazione la causa della rottura della coppia è la relazione extraconiugale
che giustifica l'allontanamento dalla casa familiare
Lui tradisce e lei va via di casa? La separazione va
addebitata al marito perché è sua la responsabilità della rottura della vita
matrimoniale a causa della relazione extraconiugale. Lo ha stabilito la Cassazione
con la recente sentenza n. 7469/2017 (qui sotto allegata) respingendo il
ricorso di un uomo che si opponeva all'addebito della separazione a suo carico, insistendo
sull'abbandono della casa coniugale da parte dell'ex moglie e dunque sulla sua
violazione del dovere di coabitazione.
Ma a nulla valgono le doglianze dell'uomo, giacchè
egli trascura un particolare importante, ossia il fatto che l'allontanamento
dalla casa familiare da parte della ex era legato alla scoperta della relazione
da lui intrattenuta con un'altra, la vera ragione della fine del rapporto.
Ciò giustifica pertanto, afferma la prima sezione
civile, in accordo con quanto stabilito dal giudice d'appello, l'abbandono
del tetto coniugale, in quanto "effetto della frattura dell'unione già
verificatasi".
In quest'ottica, concludono gli Ermellini rigettando
il ricorso, la corte di merito ha correttamente escluso la responsabilità della
donna per il fallimento del matrimonio, osservando che l'allontanamento
della stessa dalla casa coniugale "non costituiva violazione del dovere di
coabitazione, essendo stato determinato dalla scoperta di una relazione
intrapresa dall'uomo con un'altra donna, e individuando proprio in tale
circostanza la causa dei litigi tra i coniugi e dell'irreversibile crisi del
nucleo familiare, con la conseguente addebitabilità della separazione al
ricorrente".
venerdì 24 marzo 2017
SEPARAZIONE: L'ex moglie ha un problema fisico. Legittimo l'aumento dell'assegno di mantenimento da 350 euro a 500 mensili.
SEPARAZIONE: L'ex moglie
ha un problema fisico. Legittimo l'aumento dell'assegno di mantenimento da 350
euro a 500 mensili.
Decisivi i
certificati medici prodotti in giudizio.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 5
dicembre 2016 – 20 marzo 2017, n. 7153
Presidente Dogliotti – Relatore Ragonesi
Fatto e diritto
“Il relatore Cons. R., letti gli atti depositati, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. osserva quanto segue.
Il Tribunale di Roma con sentenza del 10.23.12 ha accolto la richiesta presentata del S. di scioglimento del matrimonio contratto con D. P. R. ponendogli a carico l'ammontare di 350,00 Euro a titolo di assegno mensile di divorzio.
La D. P. ha proposto appello contro la sentenza di prime cure lamentando che non era stata ritenuta provata la sussistenza della patologia di cui era affetta che ne condizionava la capacità lavorativa.
La Corte d'Appello con sentenza n. 7030/14 ,in parziale accoglimento del gravame, ha determinato in Euro 500,00 mensili l'ammontare dell'assegno di divorzio in favore della D. P.. Ricorre per cassazione il S. contestando la decisione assunta dalla Corte d'Appello.
Con l'unico motivo di ricorso il S. si duole per aver la Corte d'Appello attribuito a certificazione medica privata capacità e validità probatoria ponendo tali documenti a fondamento della decisione assunta e lamenta la violazione dell'art. 115 c.p.c. per la mancata indicazione degli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento.
Sotto diverso profilo contesta la valutazione del suo reddito in base alla quale è stato aumentato l'assegno.
Lamenta inoltre la condanna alla spese di giudizio.
La D. P. ha resistito con controricorso.
Il ricorso è inammissibile.
Quanto alla valutazione delle prove la Corte si è basata sui certificati medici prodotti e trattasi di valutazione sulla attendibilità degli stessi non soggetta a scrutinio in sede di legittimità.
Le ulteriori censure rese dallo S. a sostegno del suo ricorso sono che delle affermazioni apodittiche che tendono a fornire una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella effettuata dal giudice di merito e come tali non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.
In particolare il reddito dello stesso risulta accertato dalla Corte d'appello in base ai CUD che agli estratti conto bancari. Trattasi di valutazione di merito non sindacabile in questa sede.
Per quanto concerne la compensazione delle spese, trattasi di valutazione discrezionale del giudice di merito anch'essa non sindacabile in sede di legittimità.
Ricorrono i requisiti di cui all'art 375 c.p.c. per la trattazione in camera di consiglio.
P.Q.M.
Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.
Roma 11.07.2016
Il Cons. relatore"
Vista la memoria del resistente ;
Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra e che, pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 2000,00 oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori di legge. Sussistono le condizioni per l'applicazione del doppio del contributo. Si dispone l'oscuramento dati personali in caso di pubblicazione
Presidente Dogliotti – Relatore Ragonesi
Fatto e diritto
“Il relatore Cons. R., letti gli atti depositati, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. osserva quanto segue.
Il Tribunale di Roma con sentenza del 10.23.12 ha accolto la richiesta presentata del S. di scioglimento del matrimonio contratto con D. P. R. ponendogli a carico l'ammontare di 350,00 Euro a titolo di assegno mensile di divorzio.
La D. P. ha proposto appello contro la sentenza di prime cure lamentando che non era stata ritenuta provata la sussistenza della patologia di cui era affetta che ne condizionava la capacità lavorativa.
La Corte d'Appello con sentenza n. 7030/14 ,in parziale accoglimento del gravame, ha determinato in Euro 500,00 mensili l'ammontare dell'assegno di divorzio in favore della D. P.. Ricorre per cassazione il S. contestando la decisione assunta dalla Corte d'Appello.
Con l'unico motivo di ricorso il S. si duole per aver la Corte d'Appello attribuito a certificazione medica privata capacità e validità probatoria ponendo tali documenti a fondamento della decisione assunta e lamenta la violazione dell'art. 115 c.p.c. per la mancata indicazione degli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento.
Sotto diverso profilo contesta la valutazione del suo reddito in base alla quale è stato aumentato l'assegno.
Lamenta inoltre la condanna alla spese di giudizio.
La D. P. ha resistito con controricorso.
Il ricorso è inammissibile.
Quanto alla valutazione delle prove la Corte si è basata sui certificati medici prodotti e trattasi di valutazione sulla attendibilità degli stessi non soggetta a scrutinio in sede di legittimità.
Le ulteriori censure rese dallo S. a sostegno del suo ricorso sono che delle affermazioni apodittiche che tendono a fornire una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella effettuata dal giudice di merito e come tali non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.
In particolare il reddito dello stesso risulta accertato dalla Corte d'appello in base ai CUD che agli estratti conto bancari. Trattasi di valutazione di merito non sindacabile in questa sede.
Per quanto concerne la compensazione delle spese, trattasi di valutazione discrezionale del giudice di merito anch'essa non sindacabile in sede di legittimità.
Ricorrono i requisiti di cui all'art 375 c.p.c. per la trattazione in camera di consiglio.
P.Q.M.
Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.
Roma 11.07.2016
Il Cons. relatore"
Vista la memoria del resistente ;
Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra e che, pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 2000,00 oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori di legge. Sussistono le condizioni per l'applicazione del doppio del contributo. Si dispone l'oscuramento dati personali in caso di pubblicazione
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